Client Alert 27 ott. 2025

Blockchain e smart contracts: prospettive per il franchising

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Introduzione

Negli ultimi anni, la costante evoluzione della tecnologia blockchain e la connessa diffusione dei cosiddetti smart contracts ha acceso sempre più il dibattito sulle potenzialità che tali strumenti rappresentano per il mondo dell’impresa. Questo alert si propone di offrire un quadro di sintesi della questione, mettendo in luce le potenzialità che queste innovazioni rappresentano soprattutto per gli operatori del franchising, pur nelle difficoltà che esse scontano in termini di inquadramento giuridico.

Blockchain e smart contracts – un breve inquadramento


Benché si tratti di concetti che, come detto, animano da qualche tempo il dibattito in molti settori, vale la pena brevemente ricordare, in sintesi e senza indugiare in tecnicismi, di cosa si parla quando si discorre di tecnologia blockchain e di smart contracts.

Molti avranno già familiarità con la nozione di blockchain come tecnologia che si basa su di un cosiddetto “registro distribuito”, un sistema, cioè, che consente di archiviare dati in modo condiviso tra tutti i partecipanti a una rete. Volendo semplificare, possiamo immaginare la blockchain come una sorta di “libro mastro” destinato all’annotazione di informazioni di vario tipo (ad esempio, l’origine di un prodotto, la conclusione di un contratto, e così via), che vengono trascritte ognuna su di una diversa pagina (detta “blocco”), la quale, proprio come in un libro, è collegata alla precedente (da cui il termine “blockchain”, catena di blocchi). La particolarità sta nel fatto che questo ideale “libro mastro” non è un esemplare singolo: infatti, copie identiche di esso sono contenute in moltissimi computer localizzati nei punti più disparati del pianeta, ed ogni annotazione viene inserita contemporaneamente ed automaticamente in tutte le copie esistenti. Da ciò, la caratteristica di estrema sicurezza che viene tipicamente associata alla blockchain: è pressoché impossibile alterare un’informazione senza che l’alterazione risulti immediatamente evidente, proprio perché le altre copie diffuse del “libro mastro” del nostro esempio fungono da strumento di controllo e riscontro.

Tra le informazioni che possono essere contenute in una blockchain vi sono anche i cosiddetti smart contracts. Si tratta di veri e propri programmi informatici che eseguono un accordo in automatico al verificarsi di determinate condizioni, secondo una logica del tipo “se si verifica A, allora segue B”. E così, uno smart contract potrebbe funzionare, ad esempio, nella vendita di un file musicale, secondo lo schema “se l’utente paga X, allora si sblocca il download di Y”: nel momento in cui il pagamento viene processato correttamente, il file viene “sbloccato” e reso disponibile per il download, senza necessità di ulteriore intervento umano. In un caso come questo, sulla blockchain vengono “scritte”, in linguaggio informatico, le “regole” viste sopra, l’identità di chi ha creato lo smart contract, le coordinate alle quali indirizzare il pagamento, l’identità di chi invia il pagamento medesimo, il relativo ammontare e le coordinate temporali dello stesso, e così via: una serie di dati che dimostrano in modo univoco e sicuro l’esecuzione della transazione.
Per offrire un quadro più completo, è peraltro utile soffermarci su una preliminare analisi, ancorché sintetica, circa i profili giuridici e le sfide che queste nuove tecnologie inevitabilmente pongono, come spesso accade quando si è chiamati ad inquadrare strumenti caratterizzati da un alto tasso di innovazione all’interno di categorizzazioni necessariamente radicate nella tradizione e nell’esperienza pregresse. Come si vedrà, questo esercizio, pur nella cornice di semplificazione e sintesi imposta dal contesto del presente lavoro, non è solo “filosofico”, ma ha importanti ripercussioni sul perimetro di utilizzo concreto degli smart contracts su blockchain, sul quale ci si soffermerà in un secondo momento, dando uno sguardo alle potenzialità di tali strumenti sotto un profilo pratico.

Smart… “contract”?


Nel diritto italiano, il contratto è definito all’art. 1321 c.c. come “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Dal canto suo, anche lo smart contract gode oggi di una definizione normativa, ai sensi dell’art. 8-ter del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con L. 11 febbraio 2019, n. 12 (di seguito, il “Decreto Semplificazioni”): esso è un “programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”, che “soddisfa il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate”.

È agevole constatare come la parola “contratto” non compaia mai nella definizione di smart contract. Ed in effetti, lo smart contract è senz’altro uno strumento che, rispetto alla nozione di contratto propriamente intesa, ha una portata molto più limitata.

A questo riguardo, senza dilungarsi in tecnicismi giuridici, osserviamo che, nel suo essere semplicemente un software che esegue un’istruzione, lo smart contract, a differenza del contratto tradizionale, è uno strumento scarsamente in grado di riflettere, ad esempio:

(i) la causa contrattuale: nella struttura tipica dell’istruzione dello smart contract, non vi è spazio, infatti, perché emerga lo scopo pratico del negozio, ossia la sintesi degli interessi delle parti che lo stesso mira a soddisfare, che costituisce requisito fondamentale per la validità di un contratto (ad es., da uno smart contract che, eseguendosi, trasferisce una somma di denaro a una parte, non emerge il “perché” del trasferimento: prezzo di una compravendita? Mutuo? Canone di locazione?). Questo tema lascia aperto un fronte interpretativo di non poco momento, specie se si pensa al possibile risvolto patologico del rapporto;
(ii) l’interpretazione del contratto: la semplicità del linguaggio informatico dello smart contract, che ne rappresenta il maggior punto di forza, lascia ben poco spazio all’applicazione delle norme sancite dal codice civile sull’interpretazione contrattuale: si pensi alla difficoltà, ad esempio, di rintracciare la comune intenzione delle parti, o di interpretare uno smart contract secondo il canone di buona fede: la mancanza di un contesto di informazioni che sia in grado di “raccontare” i rapporti che danno origine allo smart contract rende oltremodo difficoltose operazioni interpretative di questo tipo;
(iii) la risoluzione del contratto, soprattutto quando essa discende da criteri legali che dipendono da fattori esterni imprevedibili, come l’eccessiva onerosità sopravvenuta.
A questa sintetica panoramica si affianca una serie di ulteriori considerazioni dal risvolto ancor più pratico sul piano dell’operatività sociale ed economica dello strumento, che sembrano convergere nella medesima direzione. A tale riguardo, occorre infatti considerare che:
(i) rispetto al contratto tradizionalmente inteso, lo smart contract sconta un margine di inevitabile inadeguatezza del linguaggio computazionale a rappresentare l’autonomia negoziale delle parti: se i contratti tradizionali si fondano su sfumature semantiche, clausole interpretative e margini di flessibilità, il codice informatico, invece, richiede determinazione assoluta e binaria: in altre parole, una semplice clausola “if-then” non ammette interpretazioni evolutive o contestuali. Ciò riduce la capacità dello smart contract non solo di lasciarsi “interpretare”, come detto sopra, ma, prima ancora, di riflettere adeguatamente l’insieme complesso di interessi che costituiscono il tessuto del contratto tradizionale;
(ii) ancora, isolatamente considerati, gli smart contracts si espongono al rischio concreto di mancanza di una manifestazione esplicita e consapevole della volontà contrattuale. L’asimmetria informativa tra chi scrive il codice e chi lo sottoscrive (o lo attiva) è spesso significativa e, quindi, vi è il rischio che le parti non ne comprendano appieno il contenuto. Questo pone un problema di formazione dell’accordo: si può dire validamente vincolata una parte che non ha compreso (o non era in grado di comprendere) il contenuto dell’obbligazione assunta?
(iii) Infine, si pone un tema di tutela giurisdizionale: l’esecuzione automatica dello smart contract è immediata e irreversibile e rende oltremodo difficile conciliarne la struttura con, ad esempio, la possibilità di adire il giudice prima dell’esecuzione per far valere un inadempimento imminente; con la tutela cautelare, o, ancora, con la possibilità di agire giudizialmente per la risoluzione a seguito di inadempimento e così via, come invece avviene con il contratto.

A questo punto, sorge spontaneo chiedersi se tutte queste considerazioni possano valere a relegare lo smart contract ad un limbo di sostanziale inutilità o (ancor peggio) di pericolosità nel suo utilizzo.

Evidentemente non è così. Piuttosto, la conclusione che possiamo trarre è che, sebbene lo smart contract non possa essere inteso come “contratto” in sé e per sé, tuttavia esso costituisce uno strumento di supporto, utile nella fase esecutiva del rapporto contrattuale.

In altre parole, lo smart contract può esprimere al meglio il proprio potenziale in termini di innovazione a patto di tenere bene a mente che esso è “altro” dal contratto e che, quindi, il contratto resta un qualcosa di diverso, esterno, al quale lo smart contract necessariamente accede, trovando in esso il proprio migliore presupposto.

Così proposta una possibile ricostruzione della natura giuridica dello smart contract, è possibile ora meglio apprezzare lo strumento nel suo momento applicativo, in modo da cogliere quantomeno uno scorcio di quella portata innovativa alla quale si accennava poc’anzi.

Le prospettive per il business: possibili impieghi degli smart contracts nelle dinamiche del franchising
Sebbene originariamente nate in ambito finanziario e tecnologico, le tecnologie blockchain e smart contract stanno gradualmente trovando applicazioni concrete nei più disparati settori economici. In quest’ottica, il settore della grande distribuzione, del food & beverage e, più in generale, tutte le realtà organizzate in catene e reti commerciali non fanno eccezione e, anzi, costituiscono terreno fertile in grado di portarne le applicazioni ad un nuovo livello applicativo.

Una frontiera per così dire “pionieristica” dell’applicazione di queste nuove tecnologie è costituita dalla loro applicazione all’organizzazione delle reti in franchising, dove esse hanno la potenzialità di ridefinire molti aspetti dei rapporti tra franchisor e franchisee.

Tra le applicazioni più interessanti della tecnologia blockchain nel franchising, si segnala innanzitutto la gestione della supply chain. È noto che avere una supply chain affidabile e trasparente è una delle chiavi del successo di un franchising, in quanto la reputazione (e, quindi, il valore) di un brand passa necessariamente per la capacità di offrire un prodotto o servizio di alta qualità ai clienti finali. La gestione dell’approvvigionamento dei prodotti tramite smart contracts su blockchain consentirebbe, ad esempio, una maggiore rapidità di risposta, la riduzione di ritardi nella gestione degli stock e tempi contenuti nel gestire, ad esempio, prodotti non conformi agli standard. Si pensi, ad esempio, alle opportunità che queste tecnologie possono offrire nella tracciabilità integrale dei flussi logistici, dal produttore al punto vendita, con vantaggi significativi in termini di controllo qualità: attraverso l’inserimento di ogni fase del processo in un registro distribuito (blockchain) – dalla produzione, al trasporto, allo stoccaggio – è possibile non solo individuare tempestivamente le responsabilità in caso di anomalie, ma anche attivare meccanismi automatici di compensazione o sostituzione tramite smart contracts (supportati, si intende, da una adeguata cornice contrattuale). Ad esempio, in un sistema di franchising alimentare, un sensore potrebbe registrare una variazione di temperatura nel trasporto di alimenti freschi; tale evento, traslato sulla blockchain, attiverebbe automaticamente il processo di sostituzione del lotto e l’eventuale rimborso, senza necessità di intervento umano, a tutto vantaggio dell’efficienza operativa e della fiducia contrattuale tra franchisor, fornitori e affiliati.

La protezione del know-how del franchisor è un altro angolo dal quale è possibile osservare la potenzialità della tecnologia blockchain. In particolare, utilizzando blockchain “permissioned” (il cui accesso, cioè, è consentito non a tutti, ma solo a soggetti previamente verificati), è possibile configurare un sistema in cui soltanto soggetti autorizzati – come affiliati contrattualmente vincolati – possano accedere a determinati contenuti, quali manuali operativi, strategie commerciali, processi interni o software proprietari. L’immutabilità del registro consente di tenere traccia di ogni accesso a informazioni riservate, generando una prova digitale certa e non alterabile, utile anche in sede contenziosa. Inoltre, integrando smart contracts nel sistema, si può prevedere che l’accesso a specifici asset informativi avvenga soltanto al verificarsi di determinate condizioni contrattuali (ad esempio, il versamento del diritto d’ingresso o la sottoscrizione di clausole NDA in formato digitale), automatizzando così il rispetto dei vincoli di riservatezza e tracciando in modo trasparente ogni fase. Anche da questa prospettiva, si apprezza come, in effetti, l’applicazione delle nuove tecnologie si colleghi indissolubilmente con una preesistente precisa cornice contrattuale.

Parallelamente, la tecnologia blockchain si presta anche a una gestione più efficiente, automatizzata e trasparente del meccanismo di pagamento delle royalties contrattuali. A questo riguardo, sempre attraverso smart contracts pre-programmati, è possibile stabilire meccanismi di verifica e calcolo, il tutto basato su dati verificabili in modo univoco. Si pensi ad un contesto in cui le performance economiche dei franchisee sono raccolte tramite sistemi digitali integrati (ad esempio, volumi di vendita e pagamenti tracciati digitalmente). Collegando tali sistemi a una blockchain, è possibile garantire che i dati di vendita siano immutabili, certificati e accessibili in tempo reale al franchisor. Lo smart contract può quindi operare sulla base di regole predefinite (ad esempio, una percentuale fissa sulle vendite in un dato periodo), attivando il trasferimento automatico delle somme dovute direttamente sul wallet del franchisor degli importi calcolati. In questo modo, il contratto non solo si auto-esegue, ma diventa anche auto-certificante, rendendo potenzialmente superfluo (o, comunque, residuale) il ricorso a verifiche contabili e controlli ex post. Si intuisce, quindi, come un simile meccanismo possa essere in grado di ridurre drasticamente i rischi di “underreporting”, contestazioni, e financo ritardi nei pagamenti.

Un ultimo esempio di come le nuove tecnologie in esame possano rendere più efficienti le dinamiche all’interno di una rete franchising è costituito dall’assunzione di scelte strategiche in base a dati misurabili, tramite forme di automazione contrattuale dinamica. Attraverso la raccolta di informazioni quali il numero di scontrini emessi, la rotazione delle scorte, o il tasso di acquisto di determinati articoli in specifici orari, adeguatamente importate sulla blockchain , tali dati possono fungere da trigger events per l’esecuzione di appositi smart contracts, che, ad esempio, possono attivare promozioni su determinati prodotti che registrano cali di vendita, assegnare bonus automatici al franchisee al superamento di determinati target; richiedere l’obbligatoria frequenza a corsi di aggiornamento in caso di performance sotto la media, e così via.

Sono esempi, questi, che mostrano i principali lati positivi di un’implementazione organica di queste nuove tecnologie all’interno delle reti di franchising, e che possono riassumersi in:

(i) aumento della fiducia all’interno del rapporto contrattuale: gli smart contracts sono potenzialmente in grado di eliminare elementi di asimmetria e migliorare, così, il rapporto di fiducia franchisor-franchisee (si pensi alla regolazione delle royalties, ad esempio, ma anche alla gestione degli ordini);
(ii) riduzione dei costi e dei tempi: per definizione, il contenuto degli smart contracts si esegue in modo del tutto automatico, eliminando la necessità dell’intervento umano;
(iii) rapidità di risposta: la possibilità di conoscere in tempo reale le condizioni del mercato in una determinata zona, le preferenze dei consumatori, l’andamento di un punto vendita, in modo peraltro verificato e sicuro, costituisce senz’altro un vantaggio strategico per scelte aziendali sempre più mirate e consapevoli.

Si sono voluti, così, sintetizzare solo alcuni dei molteplici possibili momenti applicativi di smart contracts e blockchain, ma gli orizzonti del loro impiego e dei connessi benefici è certamente molto più ampio ed in continua evoluzione. Naturalmente, è facile intuire che si tratta di strumenti i quali, da un lato, richiedono investimenti tecnologici anche importanti per integrare i sistemi di una realtà imprenditoriale in misura tale da riuscire a metterne a frutto appieno i vantaggi e, dall’altro lato, come si è visto nei paragrafi precedenti, devono essere senz’altro impiegati solo ove adeguatamente inquadrati all’interno di un contesto contrattuale adeguato e giuridicamente coerente, onde evitare di incorrere nelle possibili criticità alle quali si è fatto cenno.

Considerazioni conclusive

Non sembra potersi dubitare che le tecnologie smart contract e blockchain rappresentino, in prospettiva, una grande opportunità per gli attori economici del mercato per potersi accaparrare vantaggi strategici importanti rispetto ai concorrenti. Esse, tuttavia, pongono anche sfide non trascurabili. Non solo, infatti, la loro implementazione comporta costi non irrilevanti, ma deve anche necessariamente fare i conti con una cornice normativa che, come spesso accade in campo tecnologico, si trova a “rincorrere” un contesto in rapido sviluppo.

Il Decreto Semplificazioni, a oltre sei anni dalla conversione in legge, ancora non ha beneficiato del decreto attuativo che avrebbe dovuto stabilire la normativa tecnica sulle blockchain idonea affinché gli smart contracts sulle stesse registrati possano avere pieno valore legale anche sotto il profilo probatorio. Inoltre, la scarsa produzione normativa in tema di smart contracts – in attesa di un auspicabile coordinamento con la disciplina sui contratti – lascia agli interpreti il compito di uno sforzo esegetico che garantisca la tenuta giuridica del sistema e garantisca un impiego di tali strumenti che sia quanto più coordinato possibile con il nostro sistema giuridico.

In questo senso, dobbiamo segnalare che un primo passo verso una (ancora scarna) regolazione degli smart contracts si rinviene nel Reg. (UE) 2023/2854 (il “Data Act”), entrato pienamente in vigore il 12 settembre 2025. Sebbene la normativa si riferisca agli specifici accordi di condivisione di dati, nondimeno si intravedono i primi requisiti che impongono agli smart contracts rigidi modelli di sicurezza, funzioni di interruzione per prevenire esecuzioni non desiderate, funzioni di controllo dell’accesso, e così via .
Quello delle tecnologie blockchain e smart contracts resta, quindi, ancora un territorio abbastanza “vergine”, tanto dal punto di vista applicativo, quanto – soprattutto – da quello giuridico, ricco di sfide e zone grigie, ma anche pronto ad offrire importanti opportunità a chi saprà gradualmente integrarle nei propri modelli di business.

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